Con la recente ordinanza 18 settembre 2020, n. 19598, le Sezioni Unite hanno rimesso, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la questione interpretativa relativa a se la limitazione della possibilità di impugnare per Cassazione le decisioni del Consiglio di Stato per soli motivi inerenti alla giurisdizione sia conforme al diritto comunitario, nella parte in cui preclude la possibilità d’impugnare le sentenze del giudice amministrativo di ultima istanza che si pongano in conflitto con sentenze (precedenti o successive) della stessa Corte di giustizia.
Le Sezioni Unite, in particolare, chiedono al Giudice comunitario di rispondere al seguente quesito: «se il rimedio del ricorso per cassazione, sotto il profilo del cosiddetto “difetto di potere giurisdizionale”, non possa essere utilizzato per impugnare sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di giustizia, in settori disciplinati dal diritto dell’Unione europea (…) nei quali gli Stati membri hanno rinunciato ad esercitare i loro poteri sovrani in senso incompatibile con tale diritto, con l’effetto di determinare il consolidamento di violazioni del diritto comunitario che potrebbero essere corrette tramite il predetto rimedio e di pregiudicare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione e l’effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive di rilevanza comunitaria, in contrasto con l’esigenza che tale diritto riceva piena e sollecita attuazione da parte di ogni giudice, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione da parte della Corte di Giustizia, tenuto conto dei limiti alla “autonomia procedurale” degli Stati membri nella conformazione degli istituti processuali».
La Corte costituzionale, poco più di due anni fa, era intervenuta con l’importante sentenza del 18 gennaio 2018 n. 6, stringendo le maglie della possibilità di impugnare per cassazione le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti e dichiarando contraria a Costituzione l’interpretazione estensiva del concetto di “motivi inerenti alla giurisdizione”, ricavabile dal combinato disposto degli artt. 111, comma 8, Cost. e 362, comma 2, c.p.c.; interpretazione estensiva che era stata accolta da una parte della giurisprudenza della Corte di cassazione, per ampliare la possibilità d’impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato sino a ricomprendere – sotto il concetto di «eccesso di potere giurisdizionale» – ipotesi di radicale stravolgimento di norme processuali o sostanziali, che, in realtà, ben poco avevano a che fare con il profilo della giurisdizione.
In quell’occasione, la Consulta aveva altresì affermato che il problema delle sentenze del Consiglio di Stato che si pongano in contrasto con pronunce della Corte di Giustizia – pur «indubbiamente esistente» – non giustifica interpretazioni contrarie a Costituzione e che, quindi, esso, «specialmente nell’ipotesi di sopravvenienza di una decisione contraria delle Corti sovranazionali […], deve trovare la sua soluzione all’interno di ciascuna giurisdizione, eventualmente anche con un nuovo caso di revocazione di cui all’art. 395 cod. proc. civ., come auspicato da questa Corte con riferimento alle sentenze della Corte EDU (sentenza n. 123 del 2017)».
Dopo la pronuncia della Corte costituzionale, la giurisprudenza delle Sezioni Unite si è adeguata e l’orientamento “estensivo”, volto ad estendere l’impugnabilità in Cassazione delle sentenze del Consiglio di Stato, è stato definitivamente abbandonato (v., tra le più recenti, Cass., S.U., 6 marzo 2020, n. 6460, secondo cui la possibilità di impugnazione in cassazione delle sentenza del Consiglio di Stato resti limitato ai soli «vizi concernenti l’ambito della giurisdizione in generale o il mancato rispetto dei limiti esterni della giurisdizione, con esclusione di ogni sindacato sul modo di esercizio della funzione giurisdizionale»).
Tuttavia, resta il problema di «scongiurare il consolidamento di una violazione del diritto comunitario (…) «fintanto che ciò sia possibile, come accade quando il giudicato non si sia ancora formato», come altrettanto non può dirsi risolto l’ulteriore tema – oggetto di un vivace dibattito anche dottrinale – di stabilire quale sia lo strumento processuale utilizzabile, quando la violazione sia perpetrata da un giudice speciale di ultima istanza, in sede di giurisdizione amministrativa; se tale strumento, in assenza di indicazioni da parte del legislatore nazionale, possa essere la revocazione (come ritenuto dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 6/2018), ovvero piuttosto il ricorso per cassazione o altro ancora.
In attesa della decisione della Corte di Giustizia, che fornirà un contributo decisivo alla soluzione della questione, è per ora probabile un aumento dei ricorsi contro le sentenze del Consiglio di Stato o della Corte dei Conti, per ragioni attinenti a violazioni del diritto comunitario, come interpretato ed applicato dalla giurisprudenza europea.